La Mente del Principiante (“Beginner’s mind”)
Riprendendo la frase del Buddismo Zen dello “Shoshin” o “Beginner’s mind”, essa viene utilizzata per descrivere lo stato di entusiasmo (tipicamente infantile), meraviglia e giocosità che si presenta quando siamo di fronte a qualcosa di nuovo, quando cioè la mente non sta etichettando cose ed eventi (specialmente quelli con cui abbiamo familiarità), quando li stiamo solo vivendo come se fosse la prima volta.
“In the beginner’s mind there are many possibilities; in the expert’s mind there are few.”
(Shunryu Suzuki)
Coltivare questo stato mentale (la mente del principiante) è molto utile in molteplici ambiti della vita quotidiana, e quindi anche per quanto concerne il movimento, poiché aiuta a mantenere l’umiltà, la giocosità, e pertanto il giusto approccio positivo e propositivo, e impedisce che l’individuo ricada troppo spesso nella temuta affermazione “Questo lo so già/lo so già fare” (a prescindere dal fatto che si abbia già la conoscenza di un argomento specifico, o si abbia eseguito molte volte un particolare elemento) e al contrario quindi in un atteggiamento di chiusura che è velenoso per la creatività.
In quest’ottica, la mente del principiante è uno strumento utile per riscoprire l’entusiasmo che si ha spesso nei primi mesi/anni di attività (quando si è frequentemente in uno stato di crescente consapevolezza delle proprie capacità), che si tende poi ad abbandonare nel momento in cui avviene la progressione verso un successivo nuovo livello di abilità e padronanza.
Ecco che bisognerebbe ritornare periodicamente ad una condizione “di nuova partenza” (“eterni principianti” di nuovo): nonostante infatti siamo soliti ammirare i professionisti che dedicano una grande quantità di tempo e sforzi al perfezionamento di una pratica, è in realtà oggettivo che tale prassi alla lunga risulti non essere più sostenibile per il corpo.
Quest’ultimo infatti comincia a soffrire nel fare continuamente e sempre le stesse cose: un corpo estremamente specializzato riscontra dei benefici estremi in certi ambiti ma anche svantaggi altrettanto estremi in altri che non rientrano nel proprio campo. A questo si aggiunge il fatto che un corpo specializzato non è un corpo armonico, e per questo motivo molto più soggetto a infortuni.
Perciò ritorna l’importanza di introdurre varietà nelle attività fisiche.
Generalista vs Specialista
Se si immagina il movimento, inteso in senso in generale, come una grande montagna su cui ogni individuo si sposta, sia durante la vita quotidiana (passiamo gran parte della giornata a muoverci) che praticando attività fisica, piuttosto che puntare verso la vetta (sviluppo “verticale”), identificabile con la specializzazione in un particolare ambito, si dovrebbe prediligere uno sviluppo “laterale” (generalizzazione) in più ambiti diversi, cominciando a considerare il movimento come inseparabile dalla vita stessa, e le abilità che si allenano, così come l’esercizio fisico (come siamo abituati a concepirlo in palestra), come una piccola parte di esso.
Lo studente/praticante dovrebbe quindi essere esposto a tante pratiche differenti. Questo per poterlo rendere in grado di scegliere e di costruire la sua particolare “impronta”.
In altre parole, utilizzando questo approccio generalista, si vorrebbe preparare un individuo in modo tale fornirgli la capacità di adattarsi a ogni tipo di movimento: un praticante che possieda una padronanza delle caratteristiche generiche (come forza, agilità, equilibrio, coordinazione, ecc.) tale da poter muoversi liberamente nei più disparati campi.