MOVIMENTO
Cosa intendiamo con la parola “Movimento”? Esistono confini entro cui circoscrivere questo ambito? se sì, quali sono?
Ma soprattutto, dov’è collocato ognuno di noi all’interno di questo spazio, e come cominciare a orientarcisi?
In questo estratto, l’idea è riflettere sul punto di partenza di quello che è un viaggio di scoperta (o forse riscoperta/ri-partenza, per alcuni di noi) del nostro modo di concepire il benessere, la nostra persona in relazione all’ambiente in cui siamo inseriti ma anche rispetto agli altri individui.
Uno di tali punti di partenza potrebbe essere il seguente:
‘No-one is out of shape.’ & “You are how you move.”
(Katy Bowman)
Tutti noi siamo esattamente nella forma fisica in cui il nostro sistema è stato portato ad essere in relazione all’ambiente in cui viviamo e al nostro comportamento o stile di vita.
L’assunto di partenza di questa diversa concezione nel modo di allenarsi è che è diffusamente noto che nessuno nella nostra cultura si muove a sufficienza o in ogni caso secondo un modo di muoversi che possa definirsi “completo”.
Infatti a causa del tempo che ogni individuo trascorre seduto, così come a causa di altri fattori (es. l’uso di scarpe e indumenti costrittivi, oppure aspettative e usi culturali introdotti dalla modernizzazione della società) tramite cui ci siamo gradualmente immobilizzati, il nostro corpo si è adattato diventando rigido e incapace di muovere tutte le sue parti in tutti i potenziali modi.
Da qui l’esigenza e il tentativo di riappropriarsi di quella padronanza e libertà di movimento che è caratteristica intrinseca dell’uomo.
Il concetto di movimento “normale” o “naturale”
Spesso ci troviamo di fronte al dover eseguire, studiare, approcciare o insegnare un movimento diverso dall’ordinario, insolito, che, in quanto tale, viene etichettato da un principiante come “non normale”, “non naturale”.
Considerarlo in tal modo è legato a al fatto che spesso sembriamo portati a “normalizzare” certe disfunzioni (“è normale che la mia schiena faccia male al mattino” o “, “è normale che utilizzi dei plantari all’interno delle scarpe per eliminare o alleviare il dolore alla caviglia”, o ancora “è normale non riuscire a spingere lo sguardo oltre un certo punto oltre la spalla quando devo parcheggiare l’auto”, ecc.).
In altre parole, il termine “normale” viene spesso usato come sinonimo di “solito” o “abituale”, nello stesso modo in cui “non naturale” è usato al posto di “non normale” o “insolito”.
Se si pensa ad uno spettacolo di artisti professionisti, ad esempio quelli del Cirque du Soleil, quando ci si trova ad assistere a un loro show sarà sicuramente frequente provare incredulità nei confronti di ciò che si vede: essa è legata al fatto che sicuramente saranno performate numerosissime “imprese” fisiche definibili, secondo il concetto suddetto, “non normali” (perché cioè fuori dalle “normali” capacità” della maggior parte delle persone).
La riflessione più generale che ne segue è quella riguardante quale sia veramente la capacità dell’uomo, quali siano cioè i nostri attributi naturali caratteristici e originari, se riuscissimo ad astrarli da quella che è stata l’interferenza della cultura della rivoluzione industrializzata e tecnologica, che ha introdotto e continua a farlo, sempre più agevolazioni e “comodità” nello svolgere azioni di vita quotidiana.
Questo “progesso”, unito al linguaggio e la mentalità della limitazione (relativamente alla percezione delle proprie capacità e potenzialità da parte di un individuo) e della paura di ciò che è “inusuale”, ha portato con sé tantissime limitazioni mentali e blocchi psicologici.
Ecco che forse i citati artisti del Cirque du Soleil sono i veri umani “normali”, in quanto fanno cose per le quali ci siamo assolutamente evoluti, mentre tali cose, agli occhi della maggior parte delle persone, che si identificano invece esse stesse come rappresentazione di ciò che è “normale”, risultano essere “straordinarie” (extra-ordinarie, cioè fuori dall’ordinario come da noi percepito), perché ipoteticamente aldilà delle proprie abilità.
Questa interpretazione del concetto di “normalità” è sicuramente legata allo stile di vita di assunto da ognuno.
Prendendo in considerazione la capacità di movimento di un individuo, la questione è data dal fatto che se non si adotta un comportamento atto all’utilizzo routinario e abituale dell’intero range di movimento (ROM), ad esempio di un’articolazione, i tessuti e i muscoli attorno alla stessa si adatteranno a tale range ridotto di cui si fa uso. Analogamente se non si allunga e accorcia completamente un particolare muscolo, il sistema nervoso si calibrerà di conseguenza.
La percezione del nostro range di movimento completo disponibile, da parte del sistema nervoso, sarà quindi inferiore alla capacità fisiologica reale (“penso di potermi muovere solo fino ad un certo punto”, “al di là di un certo punto non riesco ad andare”).
Di conseguenza, dato che chi comanda è il sistema nervoso stesso, per poter ricalibrare/resettare tale percezione nervosa allineandola al range potenziale reale, sarà necessario svolgere un allenamento specifico e spesso piuttosto lungo.
Il ruolo dell’insegnante
“Find a Teacher, trust him, trust the process”
Affinché tale cambiamento si verifichi, nella maggior parte dei casi sarà necessario trovare qualcuno che sia una guida nel cammino, qualcuno che abbia una preparazione adeguata e che abbia possibilmente già percorso parte della strada che si presenta davanti a noi.
Il compito dell’insegnante risulta quindi importante e delicato: spesso quest’ultimo si trova costretto, in modo volontario a volte, ma anche senza rendersene completamente conto in altre occasioni, a ricalibrare le proprie lezioni (tipologie di esercizi, intensità, durata, ecc.) in relazione al livello della classe che ha davanti, adattando l’esercizio o il movimento a quello che sembra essere il range di mobilità tipico/medio del gruppo.
Il “pericolo” in cui si rischia di incorrere come insegnanti quindi è quello di arrivare gradualmente a non insegnare più quanto ci si era prefissati di fare (il movimento o la routine orginale), bensì una modificazione della modificazione dell’esercizio originario.
Questo adattamento alle abilità percepite della classe rappresenta un reset, un tararsi al suddetto concetto di “normalità” percepita dalla maggior parte degli individui: in questo modo però l’insegnante, invece di mostrare loro le numerose ulteriori possibilità di movimento, aiutandoli ad esplorarle e gradualmente padroneggiarle, rischia al contrario di ridurre tali potenziali opzioni.
Deve pertanto rimanere chiara la differenza tra naturale e normale, o tra naturale e usuale/più comune.
L’insegnante, nella sua funzione di supervisione e guida, piuttosto che essere in qualche modo “accomodante”, dovrebbe cercare di spronare, incoraggiare i soggetti che ha di fronte, per condurre cioè l’allievo al di fuori della propria zona di comfort (al di fuori della propria “normalità”).
“The magic happens outside one’s comfort zone”
Se immaginiamo esistere una “fortezza del comfort”, luogo in cui ognuno si sente a proprio agio e “al sicuro”, il concetto di “normale” o “usuale”, inteso secondo quanto detto in precedenza, può essere concepito come un muro tra i più alti da superare, che nasconde quindi tutto quel campo di possibilità per le quali l’uomo invece risulta essere nato.
Esse, più che “abilità”, potrebbero essere considerate dei “doni”: la fisicità/”capacità di muoversi” in moltissimi modi, ne sono un esempio importante.
“We have a body…we must use it”
“Of all the animals, we will never be the fastest runners, the best climbers, fliers, diggers etc. but we can do a bigger combination of these, and so many more things, better than any other animals can.”
(Ido Portal)
Questa capacità di muoversi, dote ancestrale dell’uomo, deve però essere alimentata, esercitata, per rendere il corpo longevo: il fine ultimo dovrebbe essere il “Movimento in sé” (“The best reason to move is because you can” – Ido Portal) e non la specializzazione su movimenti e abilità specifiche: il vero obiettivo è quello di diventare “Master of none”, praticanti (o in grado di praticare) di tutto, ma “perfetti” in nulla, eterni principianti, mentre si persegue la continua ricerca di nuovi modi di muoversi.
La domanda alla fine (che rappresenta in realtà un punto di partenza) di questo articolo, è:
Come comincio a “muovermi” davvero?